ORIGO
ritratti dell’origine di un processo millenario
Matteo Pacini
“Prima della vite sacra non piantare, o Varo, alcun albero alle dolci pendici di Tivoli o intorno alle mura di Càtilo: agli astemi Bacco rende ogni cosa penosa e gli affanni che ti rodono non si dissolvono altrimenti”.
Con queste parole rivolte all’amico Varo, Orazio, citando il poeta greco Alceo, ricorda quanto fosse importante in epoca Greca e poi Romana la coltivazione della vite, pianta straordinaria che secondo alcune fonti sembra esistesse fin da prima della comparsa dell’uomo. Furono gli Etruschi per primi, colonizzatori dell’entroterra toscano, ad addomesticarla da selvatica qual era.
Questa antichissima pianta, alla quale erano attribuite proprietà benefiche di ogni genere, godeva in Italia di condizioni climatiche così favorevoli da rendere la penisola il luogo ideale per la sua coltivazione, più che in ogni altro paese.
“Da dove potremmo cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore” (Plinio, Naturalis Historia, XIV, 8).
Nel vino, ricorda Properzio, vi era il rimedio agli affanni.
Seneca ne esalta i benefici effetti: “Ogni tanto - dice - è bene arrivare fino all’ebbrezza, non perché questa ci sommerga, ma perché allenti la tensione che è in noi. L’ebbrezza scioglie le preoccupazioni, rimescola l’animo dal più profondo e, come risana da certe malattie, così guarisce anche dalla tristezza”.
Dalle civiltà mesopotamiche all’antico Egitto, dal paganesimo Greco e Romano all’Ebraismo, vite e vino sono simboli presenti in numerose culture e religioni, riflettendosi nell’iconologia e nell’arte di tutti i tempi.
Col vino gli Etruschi onoravano i morti insieme alla danza e al suono dei flauti e soprattutto nel ceto aristocratico erano diffuse pratiche religiose in onore di Fufluns, dio del vino.
La vite è immagine della sapienza, e la vigna metafora del popolo Ebraico.
Simbolo di forza, capacità di adattamento e di trasformazione, la vite ha in seguito rappresentato in pieno lo spirito del Cristianesimo, diventandone così celebre emblema. Attraverso la trasformazione di acqua in vino Gesù compie il suo primo miracolo durante un matrimonio a Cana di Galilea, identificando in quell’occasione la mancanza di vino come metafora di quell’energia divina che negli uomini era ormai sopita, e che lui avrebbe ridestato se lo avessero seguito. Con la vite egli si identifica: «Io sono la vite, voi i tralci. Come il tralcio non può fare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me» (Giovanni 15,5).
Quale origine e principio dell’antichissimo processo di vinificazione, da sempre l’uomo si prende rispettosamente cura di questa preziosa pianta che racchiude in sé infinite simbologie tra il sacro e il profano, dalla quale proviene un nettare considerato metafora di tutto ciò che di gioioso Dio possa donare all’umanità.
In questa occasione, in un territorio come la Franciacorta che da secoli rappresenta l’eccellenza italiana nella produzione di vino, protagonista è proprio la vite, della quale Pier Paolo Metelli ci offre veri e propri “ritratti” di rara bellezza, in una serie di raffinati scatti riguardanti antiche viti destinate all’estirpazione dopo anni di abbandono e incuria. Se non adeguatamente potate, le viti tendono infatti a crescere a dismisura, spogliandosi della vegetazione fruttifera e sviluppando forme contorte e avvoltolate, più simili ad antiche sculture piuttosto che a comuni piante arbustive.
Metelli ne ha colto l’aspetto artistico, proponendo una serie di immagini dove le silhouette dei busti secchi e nodosi, totalmente estraniati dal loro contesto naturale, sembrano fluttuare nel vuoto emergendo da un bianco di fondo luminoso e compatto che tende ad esaltarne le sorprendenti forme.
Lasciando momentaneamente da parte la tensione del “carpe diem”, che pone i fotografi vocati al reportage di fronte alla necessità di cogliere l’attimo, Pier Paolo Metelli, si prende in questa occasione tutto il tempo necessario per osservare i suoi soggetti con calma, analizzandoli approfonditamente nella massima concentrazione, mettendo a frutto tutta la tecnica appresa negli anni di professione.
Riesce a carpirne attraverso le forme, la storia, la vita, l’essenza insomma, e l'immagine diventa così un pezzo unico che coglie della natura la sua intensa energia.