INITIATION
cataolo a cura di
MATTEO PACINI
“Sento la terra donna, la terra madre, la terra contenitore, la terra culla, la terra tomba, la terra fine ed inizio. Antica dea creatrice e distruttrice.”
“La terra è donna e madre” afferma Stefania Pennacchio in uno dei suoi scritti, e come darle torto dato che da sempre l’uomo nutre un così profondo senso di appartenenza verso di essa che lo spinge a chiamarla “madre” nelle culture di quasi tutte le civiltà.
Come nostro unico piano d’appoggio, essa è la superfice sulla quale possiamo muoverci, vivere, moltiplicarci, morire. Ci attrae a sé e ci tiene in equilibrio. Contiene e conserva le tracce delle nostre esistenze assumendo, sin dalle civiltà più remote, un ruolo di mediazione tra umano e divino come sostanza primordiale dalla quale chissà quale dio ci ha creati e nella quale ognuno di noi è destinato a dissolversi. E’ “contenitore, culla e tomba, fine ed inizio” appunto.
La forte connotazione femminile della ricerca artistica di Stefania Pennacchio affonda le radici in una sorta di matriarcalità primigenia insita nel popolo Calabrese che atavicamente riconosce alla donna un ruolo decisivo, identificando in essa la forza generatrice e al tempo stesso distruttrice della madre.
Stefania Pennachio indaga da anni sul ruolo della donna partendo dal Neolitico per arrivare alle teogonie pre-elleniche del bacino mediterraneo. Forte del suo bagaglio culturale e della sua avidità di sapere Stefania studia e comprende prima di modellare, non temendo così di confrontarsi con i temi più alti della mitologia classica reinterpretandola modernamente e trasmettendo, attraverso le sue opere, una visione della donna drammatica e grandiosa.
Le “iniziazioni” rappresentano il complesso di esperienze fisiche e spirituali attraverso le quali essa accede alle varie fasi della vita. In questo ciclo di opere, dal titolo “Initiation” appunto, l'indagine estetica si muove tramite la narrazione dei percorsi di confronto tra il mondo femminile e tutto ciò di esterno ad esso e, in particolare, con lo speculare maschile, essenziale quanto ostile a volte, in un’epoca storica che pone tragici fatti di cronaca a testimonianza di un rapporto complesso e spesso drammatico tra uomo e donna.
Dalla nascita e dal primo approccio con il mondo maschile, rappresentato dalla figura paterna, il percorso passa per l’infanzia e le insicurezze dell’adolescenza, attraverso la sessualità traumatica e bellissima al tempo stesso e alla maternità quale materializzazione della capacità di custodire e generare vita. Si arriva poi alla maturità e al decadimento fisco, al quale corrisponde la sublimazione della mente e dell’anima, per finire con la morte, ultima delle “initiation”, che congiunge all’infinito e alla circolarità della vita.
Il viscerale senso di appartenenza che spinge Stefania a rifugiarsi nella sua terra per dar vita alle sue creature, al riparo dal caos e dal frastuono della società contemporanea, fa sì che essa possa misurarsi direttamente con la materia, combattendone l’opposizione attiva della massa e instaurando un duello con e contro di essa, dove a vincere sono sempre entrambe, o nessuna delle due.
Sembra che la terra le parli, che un brulicante mondo di figure intrappolate nei pani di argilla le chieda di essere liberato e di uscire a godere della luce. Stefania ascolta quelle voci e non si fa pregare a lungo; plasma e modella dando vita a dee, sirene e guerriere, ora con il levare ora col porre.
Affina continuamente la tecnica assorbendo le contaminazioni delle culture che sono passate dalla sua terra nella storia. Attinge poi dall’Oriente e in particolare dal Giappone, dove fa sua la tecnica raku combinandola alle altre nella sua continua sperimentazione che per risultato genera opere sintomo di un’evoluzione artistica in continuo divenire.