Catlogo del progetto
ANTROPOLOGIA VISIVA
MAURIZIO GODOT VILLANI
a cura di Matteo Pacini
ART
ESPRESSIONE
"La fotografia, al di là di tutte le spiegazioni critiche
e intellettuali, al di là di tutti gli aspetti negativi che pure possiede, penso che sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi."
Luigi Ghirri
Il desiderio di infinito si può riconoscere in quella sorta di inquietudine data dal sentimento di una mancanza, un’insopprimibile esigenza di qualcosa che non c’è, di straordinario, uno sguardo che vada al di là del visibile, quello che lo stesso Ghirri chiama “sguardo successivo”.
Il latente surrealismo insito nella realtà quotidiana si cela infatti dietro i diversi punti vista. Con lo scatto il fotografo sceglie, e escludendo tutto ciò che rimane fuori dall’inquadratura in favore di elementi che da semplici oggetti divengono soggetto, si ha la testimonianza ma al tempo stesso la reinvenzione del visibile. A questo punto si aprono infinite possibilità di interpretazione del reale e gli stessi elementi assumono significati diversi rispetto al contesto originario a seconda di ciò che l’autore vuole omettere o esaltare.
L’inquadratura diventa quindi una sorta “soglia”, il limite tra ciò che realmente c’è e ciò che si vuole rappresentare.
Maurizio Godot Villani torna alla scena artistica dopo un periodo di pausa e sembra aver trovato nella fotografia un affidabile mezzo espressivo per comunicare.
Sebbene lo sguardo si faccia più sofisticato e la differenza formale sia evidente, crea racconti fotografici che si riannodano apertamente ai lavori precedenti, dove gli objet trouvé, fisicamente presenti nell’ l’opera, avevano una più diretta vocazione nouveau réaliste.
Il “desiderio di infinito” spinge sempre di più Godot a voler cambiare la visione delle cose. Si avvale del mezzo fotografico per ridare vita a un mondo inanimato di oggetti che godono così di una seconda possibilità per essere visti, capiti, reinterpretati, comunque eternizzati attraverso l’opera d’arte di cui ora fanno parte.
La curiosità e lo spiccato spirito di osservazione portano Godot a un’analisi antropologica basata sull’indagine delle tracce umane nel territorio, ricostruendo grazie a queste l’ identikit lucido e ironico di una presenza che mai si palesa in carne e ossa, ma che chiaramente si avverte.
Nei suoi racconti fotografici le azioni compiute dall’uomo su ambiente e oggetti sono manifestazioni visive di comportamenti che l’autore si diverte a focalizzare, sviscerandone l’ambiguità interpretativa in favore della continua ricerca del bello che sta in tutte le cose.