DUETTO IN MATERIA DI MUSICA
Matteo Pacini
Nella musica il Duetto è una composizione per due esecutori vocali o strumentali che attribuisce parti di uguale rilievo, ma nell’accezione scherzosa del termine indica anche una coppia di persone ben assortite. Questo è dunque il termine più adatto per intitolare una mostra che appaia due personalità artistiche diversissime ma affini al tempo stesso, che ha il preciso scopo di cogliere un’armonia dialogica di poetiche con un comune denominatore: la musica.
“La malattia di famiglia” la definiva ironicamente Dante Regazzoni, padre di Domenica e maestro liutaio di fama internazionale, riferendosi a quella passione musicale che coinvolge tutti i membri della famiglia.
Anche Domenica ne è contagiata, ma esprime il suo amore per la musica da artista figurativa e non da musicista, cercando di materializzare il suono attraverso materia modellata e composta.
Pittrice per vocazione, affronta dapprima la figurazione esprimendosi con disegni e acquarelli, poi, come spesso accade durante un’evoluzione artistica, la forma si astrae, la poetica si sintetizza e s’impone la necessità di misurarsi con la tridimensione, prima sotto forma di collage materici, poi di scultura.
Le esperienze internazionali e le grandi collaborazioni si susseguono numerose negli anni in cui Domenica si confronta con la poesia, l’incisione, le culture orientali. La musica però è sempre presente e la celebrazione del lavoro paterno continua ancora oggi con “una sensibilità estetica che (…) non è solo plastica ma insieme visiva, ornamentale e acustica” come nota Gillo Dorfles. L’artista lombarda affronta il tema della “distruzione” dell’oggetto artistico novecentesco scomponendo, sagomando, sovrapponendo, incollando fra loro parti di violini. Trasforma l’oggetto in soggetto dell’opera d’arte e, attraverso questa scomposizione, dà nuova vita e nuova identità alle composizioni paterne.
Andrea Pinchi coltiva sin da ragazzo la passione per l’arte con discrezione. Per anni si tiene lontano dai riflettori, impegnandosi appieno come organaro nell’antica e rinomata attività di famiglia insieme al nonno e al padre Guido. Il fascino della complessità strutturale degli organi che costruiva, o ai quali ridava voce dopo secoli di silenzio, lo induce fin da ragazzo a considerare la seduzione di quegli antichi materiali come mantici, carte ossidate, lastre di piombo, legni quattrocenteschi e pelli animali, residui della produzione o del restauro di quelle maestose macchine. In quei materiali di scarto pregni di storia e valore estetico lui già intravedeva l’opera che ne sarebbe sortita. Nascono così composizioni su fondi spesso monocromatici che “evidenziano la seconda vita di accessori che hanno perso la loro funzione” (Maurizio Coccia).
Accumulando di giorno, componendo di notte, Andrea Pinchi ha creato per anni con il supporto dei suoi mentori Nereo Ferraris e Aurelio De Felice, osservando e studiando i grandi della storia dell’arte, forte del sostegno dalla zia Maria Pia (figura fondamentale per la sua formazione culturale e artistica).
Solo recentemente Andrea ha deciso di esporre le sue opere, cominciando un percorso che in breve tempo lo ha portato ad avere riscontri e apprezzamenti sia in Italia che all’estero.
Benché Domenica Regazzoni e Andrea Pinchi abbiano percorso strade sensibilmente diverse nella vita, hanno in comune il legame atavico con il retroterra musicale. In entrambi è forte la necessità di salvaguardare, attraverso l’arte, la memoria della fase di costruzione dello strumento musicale, recuperandone le componenti in una dimensione per entrambi più pittorica che scultorea. Il concetto di base non è quello dello “smembramento” dell’oggetto del Nuovo Realismo (che con collera denunciava la violenza della società consumistica), bensì l’accurata salvaguardia delle componenti, assemblate fra loro come i colori di una tavolozza. Il risultato è così un articolo di "contemplazione", che ci ricorda l’ingegno contenuto in ogni oggetto, il tutto espresso attraverso la musicalità dei materiali e dei colori.