Dialogo con Mauro Balletti
Considerazioni e domande di Matteo Pacini
Milano, Dicembre 2015
Cominciamo da te bambino, dai tuoi primi approcci con l’arte e dalle tue fonti
d’ispirazione.
Nelle tue opere si avverte tutto il sapore e l’influenza delle sperimentazioni artistiche che hanno movimentato l’arte, il cinema, la pubblicità e la fotografia del Novecento. Non c’è però semplice citazione. E’ evidente l’analisi, lo smembramento, la metabolizzazione e la ricomposizione delle immagini e dei temi attraverso un filtro tutto personale.
Devi aver osservato molto, devi aver avuto dei buoni maestri… Che tipo di stimoli e di esperienze pensi ti abbiano segnato? Quando e come hai scoperto la tua vocazione?
“Nella mia famiglia ho sempre visto dipingere le persone intorno a me (mio nonno, mio padre e più tardi anche mia madre), quindi il linguaggio dell‘immagine rielaborata è stato naturalmente prioritario nella mia dialettica. Verso i dieci anni, magicamente, mio padre mi portò con lui in un cineforum d’essai; amorevolmente acuto aveva intuito che l’immagine era il mio contatto preferito con il mondo della realtà e della fantasia. Così, contemporaneamente alle dolci immagini di Topolino, ho imparato a leggere e ad ammirare le maestose immagini delle pellicole di Dreyer, Eisenstein, Bergman e Pasolini.
La maestosità, la bellezza, la crudeltà, la genialità e il nitore di quelle immagini mi hanno segnato per sempre. Poi con la scuola ed i libri e le dispense che trovavo nella biblioteca di casa ho iniziato a riconoscere e ad amare la pittura.
I miei amori: l’arte Ellenica, i Ritratti del Fayyum, il Beato Angelico, El Greco, Ingres e Picasso.
In quest’ultimo c’è l’intelligente, selvaggia e colta rivisitazione di tutta l’arte umana: dalle incisioni rupestri del primo Homo Sapiens sino a Lui stesso, grandioso, generoso ed onnivoro divulgatore della passione artistica e dell’immagine seriamente giocosa.
Disegnare e dipingere è per me liberare le immagini del mio inconscio e della mia curiosità verso le forme umane; il mondo è pieno di persone che sono delle vere e proprie “opere d’arte”. Si tratta di copiare il mondo di chi ha la fantasia di giocare con il proprio aspetto, consciamente o inconsciamente.”
Arriviamo poi a un momento decisivo della tua vita: l’incontro avvenuto quando avevi circa vent’anni con una delle più grandi icone della musica italiana (e non solo), parliamo di Mina.
Hai curato per circa quarant’anni i progetti grafici di tutte le copertine dei suoi album e sei l’unico fotografo dal quale si faccia immortalare. Da sempre la sua immagine arriva al pubblico attraverso il tuo obiettivo. Come cambia il tuo rapporto con l'arte dopo l'incontro con lei?
“Sono stato graziato dagli Dei nell’aver incontrato Mina. Ella era già il mio grande Amore prima ancora che l’incontrassi. Mina è arte pura
in ogni sua declinazione e non poteva non influenzare il mio rapporto con l’arte.
Avere accanto un’intelligenza così pura e creativa mi ha stravolto, mi ha dato la forza (insieme ai miei genitori) di essere libero e soprattutto di osare.
Un privilegio totale; e il tutto con la grazia del pudore che solo gli animi puri come i bimbi hanno. Ogni mio tratto è dedicato a Lei.”
Dall’inizio della tua carriera ad oggi l’evoluzione artistica è evidente, hai però sempre mantenuto ben chiara la tua personalità. Ti esprimi con tratto deciso e continuo e sono rare le volte in cui, nei tuoi disegni, la penna si stacca dal foglio.
Si tratta di evoluzioni consapevoli e ragionate o ti affidi all’istinto e lasci che la mano vada da sé? (Faccio riferimento a una tua frase che mi dicesti qualche tempo fa, in occasione di una delle mie prime visite al tuo studio: "…Io non sono sempre cosciente di quello che faccio quando disegno...". Mi piacerebbe chiarissi questo aspetto di spontaneità ed "incoscienza" )
“Spesso prima di iniziare un disegno o una tela, non ho la più pallida idea di quello che sto per fare. È come se in trance seguissi un’idea già esistente; in verità assecondo, un istante dopo aver tracciato la prima linea, il suggerimento dell’inclinazione della linea stessa.
Scopro rapidamente nello scorrere del pennino o del pastello quello che la linea può diventare: un seno, la curva di un’anca, un piede con la sorpresa del movimento di ogni singolo dito, una pettinatura assurda, un’espressione rapita o assente... Ecco mi diverto proprio ogni volta nel vedere cosa nasca: un viso che riconosco, una postura mai pensata, una stanza assurda, un bagno dove si ripete mai uguale il rito della toilette quotidiana, un letto piedistallo con le pieghe adorate del lenzuolo che tiene quasi sospesa la figura che sopra di esso vuole nascere. Stupirmi, mi piace stupirmi; quando non accade ci resto veramente male, o meglio, m’incazzo. Credo che l’evoluzione sia normale in qualunque lavoro in cui si voglia stupire od essere stupiti; mai ripetere gli stessi concetti nello stesso modo… è uno degli insegnamenti ricevuti a cui più sono legato.
Ci tengo a non annoiare e a non annoiarmi; faccio davvero fatica ad amare chi utilizza per decenni lo stesso stilema narrativo, in ogni campo, anche se ne posso comprendere i motivi.”
In questa mostra sono esposte opere che attraversano per cronologia la tua produzione grafica e pittorica dagli anni Ottanta ad oggi.
Pur essendo strettamente legato alle tue opere fotografiche, quale frutto dello stesso spiccato spirito di osservazione che ti appartiene, il disegno sembra godere per te di una posizione di favore rispetto alle altre tecniche artistiche. La tua predilezione per il disegno veloce fa pensare a quanta importanza tu dia alla sintesi e quanto negli anni ti sia liberato del superfluo, è così?
“Sicuramente c’è del vero in questa osservazione; ma non mi sono mai soffermato troppo su quello che faccio, di sicuro amo la sintesi. Il colore va e viene nei miei lavori, prediligo la forma definita delle linee e spesso i miei disegni sembrano studi preparatori per delle sculture. Mi piace molto seguire la creazione delle linee, ascoltare il rumore del pennino che sfiora o penetra la carta, vedere come il flusso della china segua la pressione della penna colorata. Ma non escludo alcuna tecnica, spero anzi di avere il coraggio di cambiare totalmente.”
Torniamo alla relazione tra fotografia e disegno. Con la prima s’immortala la realtà, attraverso il secondo si materializza l’immaginazione.
Nelle tue opere fotografiche tendi a manipolare la realtà arricchendola del tuo surrealismo visionario (mi riferisco in particolare alle opere dedicate a Mina) e viceversa, nel disegno, il surreale ha sempre un punto di partenza dalla realtà quotidiana.
Nelle tue opere realismo e surrealismo si mescolano continuamente e, fondendosi, danno vita ad un mondo carico di ironia, dove la nudità genera richiami ad un erotismo innocente e raffinato (mi riferisco ad opere come “Ditalino del trenino” ad esempio). Che cosa rappresentano ironia, nudità ed erotismo per te?
“Nel guardare il mio lavoro finito spesso trovo dei titoli ai miei disegni che ne riflettano la particolarità (… “La regina delle perette”), sorrido dentro di me e sono felice come se avessi adempiuto ad un compito preciso; i miei personaggi nascono quasi sempre sul filo dell’ironia. Una forma o un gesto possono essere ironici, come ironica può essere l’ispirazione o il rimando a qualcosa di molto conosciuto. Confesso: amo molto l’ironia.
Non so se il nudo di per sé sia erotico, raramente io lo rappresento con quell’intenzione; i personaggi nudi che mi escono spontaneamente a volte lo sono nella stessa identica maniera in cui anche gli esseri umani a volte lo sono e a volte no. È anche ovvio che il nudo, dopo millenni di arte che tutti abbiamo impressa sulla rètina e nel cuore, è l’ “esercizio di stile” per antonomasia ed è anche la calligrafia rivelatrice di un disegnatore, da sempre”.
Biografia
Nato a Milano il 4 settembre 1952, contemporaneamente agli studi inizia la sua attività come pittore nel 1972.
Nel 1973 entra nel mondo della fotografia con alcuni ritratti fotografici di Mina per la quale in seguito curerà il progetto delle copertine dei suoi album sino ad oggi.
Al 1980 risale l’inizio della collaborazione come fotografo con alcune riviste di moda e da quella data si occupa anche direttamente di pubblicità. Dal 1990 inizia il suo interesse alla regia: prima nel campo dei videoclip musicali nel 1991 e poi in quello degli spot pubblicitari.
Il suo primo cortometraggio Fasten seat belts, con Benedetta Mazzini e Massimo Popolizio, partecipa alla Mostra Cinematografica di Venezia del 1996.
Nel 1994 espone le sue opere pittoriche in una Personale al Museo Nazionale di Villa Pisani di Strà (Venezia).
Nel 1997 l’Assessorato alla Cultura della Città di Pietrasanta organizza nel Chiostro di S.Agostino una mostra fotografica e contemporaneamente una mostra pittorica nello Studio D’Arte La Subbia.
Nel 2000 a Milano alla Galleria Cappelletti una sua mostra personale di pittura.
Nel 2001 cura la regia del filmato MINA IN STUDIO realizzato per Internet e il mercato dei DVD.
Nel 2009 inizia la sua collaborazione con la rivista Style, (Corriere della Sera), dove esegue servizi fotografici particolari, ispirati a grandi pittori come Schiele, Caravaggio, Lucian Freud e Klimt.
Nel 2013 una mostra fotografica e pittorica a Parigi alla Galleria Le Purgatoire.
Nel 2014 una mostra pittorica a Varese L’eleganza del segno presso La Galleria Studio Arteidea.
Nel 2015 una mostra fotografica e pittorica a Varese presso La Galleria Studio Arteidea.
Il suo lavoro continua sul doppio binario della fotografia e della pittura che si intersecano continuamente.
Hanno scritto di lui: Frankfurter Allgemeine Zeitung - Dieter Bartetzko - 3 Agosto 1996
La Repubblica , Laura Putti - Luglio 2013,
Giovanna Brambilla e Fernando Mazzocca.